Centona/Prefazione

PREFAZIONE

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Mentre egli vive qui, e vivrà ancora per tanto e tanto tempo, e canta e ride e piange e freme in tutta la sua opera arguta e schietta, così calde e sincere simpatie suscitando col suo canto in tutto il popolo della sua Sicilia, e tante risa e tanta commozione ogni sera, nei teatri d'Italia, negli innumerevoli spettatori delle sue commedie e dei suoi drammi, pensarlo morto (e d'una così inopinata orribile morte!), pensare che non potrò più rivederlo nella fraterna consuetudine che avevo con lui e nella quale di giorno in giorno mi si rivelavano tutti i moti della sua nobilissima anima e del suo cuore generoso, moti che, seppur talvolta violenti e inconsiderati, palesavano sempre in lui l'eterno fanciullo-poeta: tanto oscuro e freddo turbamento mi cagiona e tal dolore mi dà, che non m'è possibile mettermi a scrivere ora di lui, come vorrei.

Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch'è il Di Giacomo e il Russo per Napoli; il Pascarella e Trilussa per Roma; il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l'aria, l'alito e l'odore con cui vivono veramente e si gustano e s'illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove.

Nino Martoglio è tutta la sua Sicilia, che ama e che odia, che ride e giuoca e piange e si dispera, con gli accenti e coi modi che qui in Centona sono espressi per sempre, incomparabilmente.

Giornalista per tanti anni nella sua nativa Catania, figlio di giornalista, fondò e diresse il d'Artagnan, la cui memoria è ancora vivissima nell'Isola: miniera inesauribile di spirito. Per la coraggiosa e audace satira della vita cittadina, per certi tipi colti dal vero, e certi epigrammi ad hominem e certi dialoghi di finissima arguzia paesana, parecchie volte dovette battersi in duello, e più d'una col rischio di perderci la vita.

Don Procopio Ballaccheri fu, in quel giornale, quel che poi Oranzo E. Marginati fu nel "Travaso delle idee"; e il Lucatelli lo riconosceva e lo dichiarava; e il Martoglio ne era orgoglioso. Morti tutti e due, adesso, e prima del tempo!

Famosissima rimase, dell'attività giornalistica e poetica di quegli anni, la satira politica in versi: La triplice alleanza; tanto che non fu possibile al Martoglio eliminarla, come forse avrebbe voluto, dalla raccolta dei suoi versi. E si trova ancora, difatti, e si legge con piacere, in fondo a questa Centona, che lo fa, dopo il Meli, il poeta dialettale più espressivo del popolo siciliano. Tutti in Sicilia conoscono Centona. Le edizioni di essa si esauriscono e si rinnovano continuamente; questo è il segno che il popolo riconosce nel suo poeta la sua voce. Il che basta a perpetuare la fama del Martoglio anche se di queste liriche appassionate o giocose, di questi tanti sonetti, in cui un intero dramma, un'intera commedia, son racchiusi con potente efficacia nel giro di quattordici versi e tante volte in una sola parola o in un gesto espressivo, segnato con un'esclamazione, la critica ufficiale del Continente non ha mai mostrato di accorgersi bene. Sonetti come La cira sono autentici capolavori. E sono parecchi.

Ma Nino Martoglio non fu poeta lirico soltanto: fu anche commediografo acclamato, in lingua e in dialetto.

Tutti immaginano facilmente le grandi soddisfazioni che l'esito trionfale d'alcune commedie gli procurò; ma nessuno forse immagina quanto gli costò d'amarezze, di cure, di fatiche e anche di denari il teatro siciliano che vive massimamente per lui e di lui e di cui egli fu il vero ed unico fondatore. Fondatore rivelatore, poichè fu lui a mettere per il primo in luce e in valore i suoi attori più grandi, ora giustamente famosi; il Musco e il Grasso; e poi gli Spadaro e il Lo Turco e l'altro Grasso, la Bragaglia, l'Aguglia, la Balistrieri, l'Anselmi, il Marcellini, il Pandolfini. Quante amarezze, povero Martoglio, per quel suo grande sogno, così ingiustamente e perfidamente avversato sino a farlo fallire, della Compagnia del Teatro Mediterraneo, con la quale, divenute già a mattatore quelle dapprima fondate col Grasso e col Musco, s'era proposto di mettere insieme, per spettacoli di pura arte, una numerosa Compagnia di "complesso", meravigliosamente affiatata; quella Compagnia che diede al pubblico di Roma, al Teatro Argentina, rappresentazioni d'insuperabile bellezza, come quelle del Ciclope di Euripide, del Rosario del De Roberto, del Dal tuo al mio e della Lupa del Verga.

Preparava il Martoglio un libro di Memorie su questo suo teatro siciliano, che non so se aveva già cominciato a scrivere. Non credo. Che un tal libro di memorie non si possa più avere è jattura grave per la storia del teatro ancora a noi contemporaneo, perchè il libro sarebbe stato pieno, certo, di notizie interessantissime, d'episodi caratteristici d'un sapore straordinario, per la vivacità impulsiva, le stranezze, i prodigi del meraviglioso intuito, che dovevano esservi narrati e rappresentati, dei comici siciliani.

Nino Martoglio fu un vittorioso. Vinse tutti gli ostacoli, tutte le diffidenze, tutte le gelosie. Il teatro siciliano difatti, vive: ha ormai un larghissimo repertorio e una fin troppo numerosa schiera di attori. E finchè vivrà, vivranno per la delizia dei pubblici d'Italia, Mastru Austinu Misciasciu del "S. Giovanni Decollato" e Don Cola Duscio del "L'aria del Continente" e 'U riffanti e i due ciechi di "Scuru" e il Capitan Turrisi di "Sua Eccellenza" e il povero Marchisi di Ruvolito e Taddarita e Nica e Capitan Seniu, tutte le creature del suo teatro, in cui quei magnifici attori si sentono vivi.

Lui solo, povero Nino, non potrà più soffrirne o goderne. E che abbia lasciato sul meglio e innanzi tempo il suo lavoro, sul meglio e innanzi tempo i suoi adorati piccoli figliuoli, l'adorata Compagna, i fratelli, gli amici, così, per uno sciagurato incidente, aprendo per isbaglio una porta che dava in un baratro, è cosa di tale e tanta crudeltà, che veramente fa disperare e inorridire.

Roma, 18 Settembre 1921.

LUIGI PIRANDELLO